La settimana della Cooperazione Internazionale è un’importante occasione in cui persone appartenenti a popoli diversi hanno la possibilità di incontrarsi e condividere le proprie culture e tradizioni.
Il 25 febbraio 2016 l’I.C. Piero Gobetti, in collaborazione con il Dipartimento Educazione del Museo d’Arte Contemporanea del Castello di Rivoli e l’associazione CISV, ha organizzato una mattinata ricca di eventi rivolta alle classi terze medie, per sensibilizzare i ragazzi sul tema dei flussi migratori. Erano presenti anche associazioni, cooperative ed enti operanti sul territorio rivolese.
Gli studenti hanno assistito a uno spettacolo in cui si sono esibiti: la classe prima media della sezione musicale dell’I.C. Gobetti con alcuni canti, Egridanza, Terre e Mondo e il Coromoro.
Noi abbiamo avuto la possibilità di intervistare i ragazzi del Coromoro, una band di ragazzi rifugiati e migranti.
Nessuno dei ragazzi del Coromoro aveva mai cantato prima dell’arrivo nella nostra terra, hanno cominciato quando sono arrivati in Italia, nell’autunno del 2014.
Inizialmente cantavano per imparare l’italiano poi, dopo aver conosciuto Luca Baraldo e Laura Castelli, iniziarono a cantare in piemontese, pensando giustamente di aver avuto un’idea originale.
Il loro viaggio è stato lunghissimo e terribile, soprattutto la traversata del Sahara e la permanenza in Libia ma, come loro stessi ci hanno detto, ogni cosa di quel viaggio è stata terribile. Anche il Mediterraneo è stato un ostacolo enorme e ci hanno raccontato di come stavano male sui barconi, senza cibo e senza acqua per quattro giorni o più.
Per loro la cosa più bella in assoluto è stata vedere la costa italiana, la salvezza.
“Dopo essere sbarcati a Lampedusa” ci hanno raccontato “siamo stati trasferiti nelle valli di Lanzo. Gli anziani all’inizio avevano paura di noi, ma ora ci hanno accettato, facciamo concerti con il coro e ci siamo ambientati”.
In realtà la lotta di questi ragazzi non è ancora finita perché, dopo aver subito i soprusi dei trafficanti di uomini, ora devono ancora fare i conti con la burocrazia italiana: uno di loro, dopo che la Commissione ha analizzato il suo caso, ha visto rifiutata la domanda di richiesta d’asilo.
Quando gli abbiamo chiesto cosa intende fare, ci ha risposto che non ha molte alternative: continuerà a fare ricorsi fino a quando non otterrà il permesso. Ormai è al terzo ricorso che affronta, ma non si arrende perché non vuole lasciare l’Italia e vuole continuare a cantare col Coromoro.
“Come vi sentite quando una persona discrimina e insulta gli immigrati o vuole che torniate a casa?”
La risposta ci ha sorpreso ma, riflettendoci, è pienamente condivisibile.
Dopo aver visto la guerra, essere passati dalle sabbie del Sahara e dalle mani dei trafficanti libici (di cui tutti loro ci parlano con orrore) e aver attraversato il Mediterraneo su gommoni brulicanti di persone, può un insulto far loro male più di tutto questo?
“Il massimo che un insulto può fare è infastidirci.”
Loro stessi ci dicono che persino in Africa ci sono i razzisti e che, come ci sono persone cattive e crudeli qua, ce ne sono anche là. Ormai si sono abituati agli insulti e hanno capito che il razzismo è un problema dell’essere umano, un difetto del mondo, ed esisterà sempre: gli uomini hanno sempre avuto paura del diverso e di ciò che non conoscono.
Anche gli italiani emigrarono in America all’inizio del secolo scorso, mentre, negli anni ’50 e ’60, molti italiani meridionali emigrarono al Nord in cerca di lavoro. Anche loro vennero discriminati. Oggi c’è gente che emigra dal proprio paese in cerca di un futuro migliore: non vogliamo aiutare queste persone a evitare situazioni come quelle che hanno forse vissuto i nostri bisnonni?
(Bianca Facciotto, Erica Forza, Valentina Gerbino – classe 3 A – IC Piero Gobetti – Rivoli)